Quindi, dicevamo. L’FC Internazionale di Milano è andata fino a Monaco di Baviera per farsi sculacciare 5-0 dal Paris Saint Germain, coronato per la prima volta Campione d’Europa per concludere una stagione che l’aveva già visto trionfare in Ligue 1, Coppa e Supercoppa di Francia. Questo è il crudo resoconto dei fatti.
In quell’altro post dicevo che a stupirmi quest’anno, per lo meno in Europa, era stata la capacità a tratti inedita di reagire a quei gol spacca-cuore che avevamo subito in tutte e quattro le ultime partite di avvicinamento alla Finale. Questa volta la capacità di reagire non è nemmeno servita, dato che non si è proprio scesi in campo. La squadra è stata piatta, totalmente incapace di leggere le situazioni e capire dove andare; soprattutto nel primo tempo l’Inter non è riuscita a infilare più di un paio di passaggi riusciti uno dopo l’altro, tanto che quando la regia ha mostrato le statistiche del possesso palla ho creduto fossero sbagliate, salvo poi rendermi conto che quei minuti con la palla tra i piedi erano stati così sterili da passare inosservati. Il monumento a una partita approcciata male e giocata peggio, una volta realizzato che il PSG ha dimostrato di avere le risposte al gioco espresso in questi mesi, erano i continui passaggi a Sommer chiuso in aerea piccola dalla pressione degli avversari. Una sorta di versione tattica de “Il giorno della Marmotta” in cui l’alternativa al Piano A che non funziona è ancora il Piano A, con meno consapevolezza e più panico.
Ci tengo a sottolineare una cosa importante, forse doppiamente visto com’è andata la scorsa settimana: il calcio si gioca in due, se qualcuno perde qualcun altro vince. Il PSG l’ha vinta tanto quanto se non più di quanto l’Inter l’abbia persa. L’hanno preparata meglio, approcciata meglio, giocata meglio, gestita meglio, meritata di più sotto ogni aspetto valutabile in una Finale del genere. Basta con questa stronzata che le competizioni le perde l’Inter per sminuire il contesto, soprattutto se a fare un ragionamento del genere è chi faceva i capricci e batteva i piedi quando si faceva lo stesso per noi, che fosse per il terzo portiere Turnbull del Chelsea o per la mediocrità delle avversarie dirette negli anni 2000. Avete, abbiamo, rotto il cazzo.
Altrettanto non bisogna, secondo me, fare l’errore stupido di farsi prendere dal momento di agonia e pensare che la Finale cancelli quanto fatto fin ora. I quarti con il Bayern Monaco e la semifinale con il Barcellona da una parte hanno dato la consapevolezza di ciò che era possibile fare come gruppo, dall’altra hanno caricato l’euforia a tal punto da far perdere lucidità sulla tassa fisica e mentale pagata per fare partite del genere. L’Inter è dovuta andare ben oltre i suoi limiti per arrivare in Finale e non è riuscita a farlo per la quinta volta di fila, sembra semplice ma penso sia una valutazione accettabile. Questo non significa rifuggire dalle responsabilità – totali e individuali – nascondendosi dietro il bel percorso o l’orgoglio gratuito come fatto da qualche giocatore nelle ultime venti ore, la prima vera prova di responsabilità sarà capire cos’è successo.
Per quanto riguarda i miei colleghi tifosi, che mi rendo conto vivano di facili entusiasmi e facilissimi sconforti, la vera battaglia è già e sarà per sempre con noi stessi per restare lucidi.
Una sconfitta così, 5-0 in Finale, è di quelle che andrebbero appese ai muri dello spogliatoio, perché il primo step è esorcizzarne il ricordo e il secondo spremerne fuori la motivazione non per fare meglio – quello succede solo nel sensazionalismo dei film - ma per non ripetere più una figura di merda del genere. Non parlo di proporzioni perché, come dicevo all’inizio, il problema non è stato perdere ma non essere nemmeno scesi in campo. Con questo PSG perdere è nella sfera del possibile, ma non provare nemmeno a opporre resistenza è più grave di un 5-0. Nella nostra gloriosa storia ci sono (plurale) sconfitte con il Sassuolo umilianti tanto quanto una Finale così, con la differenza che mi auguro non ci fosse tutto il mondo a guardare il rigore allo scadere di Berardi nel 2016.
Ora servirà capire a chi questa partita potrà servire come monito, perché una sconfitta così può smontare una squadra e se ti ritrovi soltanto con persone con un credibile diritto a dissociarsi non ne ricavi nulla, perché finiranno sempre a essere “quegli altri” ad averla persa così. Quindi il rischio c’è che questa Finale finisca per rimanere soltanto una nota in grassetto negli albi d’oro e nei libri di statistiche per ricordare agli altri, che hanno la fortuna di poterselo dimenticare, chi ha subito la peggior sconfitta in finale nella storia della Champions League/Coppa dei Campioni, forse addirittura delle finali europee per club in gara secca.
Speriamo almeno possa servire a qualcosa, perché se questo 5-0 finisse per rivelarsi totalmente inutile sarebbe come perdere due volte.
Ora tocca rimboccarsi le maniche, perché all’orizzonte ci sono bei nuvoloni. Saltando l’inutile se non addirittura deleterio Mondiale per Club ci si presenterà alla prossima stagione con una rosa che rischia di essere anziana, in costante movimento da più di due anni, nel pieno del metabolismo della Finale e con davanti agli occhi i risultati incontrovertibili di grossi problemi fisici, tattici e strutturali. Sarà ancora più complicato riuscire a imporsi con squadre maggiormente riposate e in alcuni casi coinvolte in un processo di rinnovo già avviato. In sostanza una versione moltiplicata della Stagione ‘24/’25, con la differenza fondamentale che con cinque vittorie (Atalanta due volte, Lazio all’andata, Roma all’andata, Fiorentina al ritorno) su diciotto contro le altre della prima metà di classifica probabilmente non fai le coppe, altro che Scudetto punto a punto.
Dagli spalti non c’è modo di contribuire alla causa se non con il supporto - non quello cieco e inconsapevole di chi nega l’evidenza per difendere a spada tratta, ma quello di chi sa leggere una situazione e capisce che pur essendo critici si può evitare di bastonare uno che caga (o sparare sull’ambulanza, se preferite essere meno volgari). Questo vale per chi ha sentito l’interismo fiorire in sé negli ultimi anni e potrebbe trovarsi davanti al primo momento torbido della sua carriera da tifoso, ma in particolare anche per i soloni del primo arancio pronti a buttare sotto al treno questo o quel presunto colpevole, che in nome dei torti subiti in passato credono di essere a credito per la vita e meritare una squadra di infallibili.
Ieri sera sul mio profilo Instagram ho ribadito che avrei preferito perderla per lo meno provandoci, ma che anche così era meglio che guardare gli altri dallo spioncino. Stamattina ho fatto la mia onorevole “walk of shame” leggendo e rispondendo ai messaggi della notte, tra cui quello di un ragazzo che non conosco che mi dava del coglione dicendomi che stava godendo. Gli ho risposto educatamente che mi riferivo più ai miei colleghi, abituati a veder giocare a queste partite dagli altri, che a chi aveva goduto del nostro tonfo. Quello è legittimo e nessuno potrà toglierlo, bisogna saper scendere a patti con il fatto che tocca accontentarsi di veder giocare gli altri per fare i guardoni e io non sono mai riuscito a farlo. Non lo dico certo con un senso di superiorità mal celato, ma perché mi piace pensare che dall’altra parte ci sia qualcuno che ama la sua squadra tanto quanto io amo la mia.
Difficile, ma possibile. Qui invece il senso di superiorità di cui sopra ce lo metto, senza nemmeno lo sforzo di celarlo male.
Nell’adattamento cinematografico di “Febbre a 90°” di Nick Hornby a Paul Ashworth/Colin Firth fanno dire “La cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c’è sempre un’altra stagione” e per come intendo io il calcio e il tifo non c’è cosa più bella. Speriamo che anche questa sconfitta lasci una bella cicatrice visibile, come quando ti ribaltavi da bambino: sul momento ti vergognavi terribilmente, poi finivi a usarla per raccontare di quella volta che avevi fatto qualcosa di stupido ma impavido, quasi a riderci sopra.
Adesso, almeno per un po’ basta Inter. Qui, perché nella vita reale tra due settimane si riparte.