A metà settimana abbiamo pubblicato l’episodio 14 della seconda stagione di Scarpe.pod, intitolato “Ricordati di santificare le feste” e dedicato per una metà abbondante all’Air Max Day di quest’anno, principale festa comandata nel calendario di noi, gente delle scarpe.
L’anno scorso ho pubblicato un vecchio pezzo che ho scritto per Ginnika nel 2018, quest’anno devo ammettere che mi sono sforzato un po’ meno.
La conversazione con i miei due compagni di scrivania, Andrea e Niccolò, si è rapidamente accesa, divisa principalmente tra nostalgia e polemiche. Quello appena passato è stato il decimo Air Max Day celebrato da Nike, che nel 2014 scelse il 26 marzo come ricorrenza da dedicare alla sua tecnologia più celebre.
Ammetto che l’anniversario importante mi aveva caricato di enormi aspettative, ho atteso fino all’ultimo qualche annuncio a sorpresa che potesse rendere speciale le celebrazioni di quest’anno ma il risultato non è certo stato all’altezza. Ci siamo anzi trovati a commentare un Air Max Day che avremmo reputato nella migliore delle ipotesi “scarico” anche in un anno normale.
Ricapitolando brevemente, questo magico Air Max Day 2024 ci ha donato: una Air Max 1 ’86 un po’ incrostata che si chiama “Museum Masterpiece”, un’altra Air Max 1 ’86 con i colori della blu originale, due versioni monocromo un po’ più rare della nuova Air Max DN aka una TN con le reference oscure, un’altra Air Max 1 ’86 blu – questa volta con la suola neon come la prima release 3.26 in assoluto.
Un po’ scarico, come dicevo. La ’86 “Big Bubble” è stata protagonista dell’Air Max Day e dell’intero anno precedente dopo la sua prima apparizione, ma sovraesposizione e un lunghissimo elenco di uscite inutili hanno rapidamente spento ogni entusiasmo. Per le DN il discorso è diverso: la scarpa è interessante ma non siamo “noi” il pubblico giusto, è giusto che l’Air Max Day abbia spazio anche per le novità, ma si tratta principalmente di una festa nostalgica per nostalgici delle bolle giganti quindi non può essere l’elemento chiave del calendario di uscite.
Molto probabilmente mi sarebbe bastata una release puntuale dell’Air 180 per farmi parlare molto diversamente di questo 3.26, ma stando agli ultimi aggiornamenti servirà aspettare giugno per riavere in mano una 180 giusta e degna del suo nome originale. Aspettati più di dieci anni non saranno due mesi in più a calmarmi, ma sono convinto che il ritorno della 180 sarebbe stato perfetto per l’Air Max Day (pur cedendo alla classificazione tra le Air Max, ammetto di aver perso fervore a riguardo).
Aver raggiunto dieci anni di Air Max Day è un traguardo molto importante, che acquista ancor più valore se si riflette sul fatto che un’intera generazione di “nuovi sneakerhead” giunti alle scarpe attraverso il boom del retro running, proprio quelli per che spinsero Nike a creare questa ricorrenza”, hanno vissuto interamente quest’ultimo decennio e avrebbero preso parte volentieri ai festeggiamenti. Il rimando all’Air Max 1 “3.26” con l’uscita della nuova versione è carino, ma senza un giusto racconto a fare da cornice perde di valore e il già citato scarso interesse per la “Big Bubble” fa il resto.
Ad un certo punto della puntata, archiviate attualità e ricordi, ho chiesto ai miei illustri colleghi cos’avrebbero fatto per migliorare l’Air Max Day, dato che mi sembrava chiaro fossimo tutti e tre insoddisfatti di ciò che stavamo commentando. Nel nostro lungo flusso di polemiche (che comincia più o meno QUI e occupa gli ultimi dieci minuti di puntata) abbiamo provato ad affrontare la cosa da clienti/collezionisti/appassionati prima di tutto, basandoci sulle nostre esperienze e su cosa ci piace. Nonostante mi metta i brividi sono andato a riascoltarmi per capire se quelle idee che ho buttato fuori di getto per rispondere ad una domanda improvvisata avessero più o meno senso ora che ho avuto qualche giorno in più per pensarci.
Ho davvero paura che l’“Air Max Day” preso puramente da un punto di vista di marketing e comunicazione possa essere diventato obsoleto e un po’ inutile, soprattutto se dovesse restare così com’è andando avanti negli anni. Questo sarebbe l’ennesimo esempio concreto degli anni che passano e della mia vecchiaia incombente, ma tocca essere onesti ogni tanto.
In puntata dicevo che un Air Max Day più piccolo, meno dispersivo e focalizzato più sul rapporto con la comunità che sul prodotto potrebbe tornare ad avere senso. Nel pratico questo significa prima di tutto saper scegliere quali uscite associare meno all’Air Max Day e quali possono giovare da più attenzione da parte di una categoria di pubblico ristretta, formata da annoiati e rancorosi cacacazzi. Questo aiuterebbe a ridurre la durata dell’evento, rendendo anche più facile organizzare attivazioni fisiche o digitali che possano funzionare meglio sul territorio – tornare a lavorare con i negozi non sarebbe una brutta idea, ci sono tante realtà che meriterebbero fondi e attenzione (principalmente fondi) da parte di grandi brand come Nike e negli anni hanno consolidato il loro ruolo all’interno delle community hanno dimostrato di saper fare tanto con poco (quanto di seguito sarà eccezionalmente in grassetto, perché per esperienza penso sia importante) cosa che dovrebbe portare a pensare a quali figate potrebbero fare con un budget decente, non a scommettere su come si comporterebbero con ancora meno soldi.
Per quanto riguarda il discorso “persone”, dopo dieci anni è arrivato il momento di ammettere con enorme dolore che l’Air Max Day non è nato per i veterani degli anni ’90 con l’occhio per il dettaglio o per i feticisti delle bolle giganti. Non c’è nulla di male nel dire che in un momento il cui il rétro running funzionava meglio di qualunque altro prodotto Nike si è inventata un ottimo modo per ricordare a tutti quante figate ha fatto e, contemporaneamente, vendere un sacco di Air Max. Lo dimostra il fatto che quando il pubblico è stato interpellato* in occasione del “Vote Back” non ha vinto qualche gemma dimenticata ma l’Air Max 1 “Elephant” di Atmos, che rimane pur sempre una bella scarpa (che continuo a ritenere un simbolo del male che si annida nelle sneakers, chi sa di cosa parlo non si illuda). Allo stesso modo quando c’è stato da mettere insieme i progetti per RevolutionAIR dentro ci sono finiti tanti creativi interessanti e gente giovane che ancora oggi lavora nelle sneakers al posto noiosoni nostalgici che non avrebbero cambiato una virgola a qualche vecchio design, tanto che poi quando c’è stato da votare* ha vinto la 1/97 di Sean Wotherspoon, che nonostante tutto rimane una bella scarpa (terribilmente noiosa che non penso riuscirei a mettere, ma questo è un problema mio).
*Asterisco perché mi riservo il diritto di ritenere le due votazioni di Nike citate qui sopra pilotate meglio di una McLaren numero 27 nel 1990.
Masers of Air è stato una splendida parentesi che ha dimostrato quanto è bello ascoltare gente che abbia qualcosa da dire. Purtroppo tenere in piedi una cosa del genere è dispendioso ed estremamente complicato, motivo per cui il tutto non è più stato ripetuto. Ciò non toglie sia pieno di gente meritevole di essere tirata in mezzo da Nike con un ruolo simile e dal 2017 a oggi il loro numero può essere solo aumentato.
Infine, tornando a parlare di scarpe, sarebbe il caso di ricordarsi anche cos’è successo nei quasi quarant’anni successivi all’uscita dell’Air Max 1. L’archivio offre possibilità infinite e ci sono molti altri modelli più o meno noti che meriterebbero un po’ di luce in più durante i festeggiamenti. Delle Air 180 ho già detto ampiamente cosa penso, pare che l’anno prossimo possa essere il turno di un’Air Max ’95 giusta e questa potrebbe essere l’ultima occasione buona per fare le cose per bene sotto questo punto di vista.
Già che ci siamo, mixando gli ultimi due punti bisognerebbe anche ricordarsi di chi ha fatto grande Air Max dando il proprio contributo creativo con collaborazioni, progetti speciali e altre cose incredibili negli ultimi venticinque anni: se esistesse una Hall of Fame di Nike come quelle del basket o del wrestling tanti meriterebbero un posto, store come Patta e Atmos o artisti come Stash, Piet Parra, Dizzee Rascal e Ben Drury hanno fatto la loro parte e meritano di essere celebrati a dovere. Come loro anche tante realtà più piccole e figure che dietro le quinte hanno fatto grande la nostra cultura: datemi 10 minuti di Jesse Leyva che racconta i primi anni 2000, Sergio Lozano con Shigeyuki Kunii a parlare di linguette nere o Masta Lee che parla del quinto compleanno di Patta. Insegnate alla gente perché Air Max merita un giorno all’anno tutto per sé e l’Air Max Day avrà finalmente il suo scopo e noi brontoloni saremo finalmente soddisfatti.