No narrative, no stories, no unnecessary explanations.
Scarpe, frecce, carceri inglesi e un modo unico di guardare alle cose che non interessano a nessuno.
⊛ Quando ho fatto partire Never Not Talking la produttività non era certo tra gli obiettivi che mi ero posto, ero più che altro mosso dal voler trovare un posto per delle cose che altrimenti non avrei saputo dove mettere. Io però davvero lo giuro che ci provo a essere un minimo regolare nel pubblicare e tutto il resto però ci sono volte, come in questo caso, in cui secondo me è proprio l’argomento che fa in modo che io non sia puntuale. In testa è già tutto scritto ed è pure interessante, meritevole di finire in un post, però poi per mille motivi mi metto davanti a Word e non succede niente. Quindi vediamo un po’ se con una decina di giorni di ritardo riesco a fare ordine tra i passaggi di questo ragionamento che ho fatto e ne viene fuori qualcosa di sensato. ⊛
Un paio di domeniche fa stavo curiosando su Instagram e vedendo le stories di un paio di amici mi sono reso conto che sarebbe stato il compleanno di Gary Warnett, il quarantacinquesimo se ho fatto i conti giusti. A quel punto, in un modo un po’ strano di affrontare i pensieri, mi è venuta voglia di mettermi quella Reebok Classic Leather che aveva fatto per il pack del trentesimo anniversario. Non tanto per uno di quei tributi automatici che, nonostante ci conoscessimo poco per motivi lontani dalle scarpe, penso a GW avrebbe fatto un po’ ridere, quanto perché quando si ha tanta roba ogni occasione è buona per ricordarsene e quando ho visto il “Moomin di Ben Davis” la prima cosa che mi è venuta in mente è quella Classic Leather, che per me sarà sempre un monumento a quelle catene di topic oscuri e riferimenti inaspettati che mi fanno impazzire, soprattutto se nascosti dietro un aspetto che non lascia trasparire molto più di ciò che è palese.
Da qualche parte online (vi ho salvato dalla fatica e sono andato a recuperarmi il link da una vecchia cartella di preferiti) c’è un articolo pubblicato il 10 ottobre 2013 su Gwarizm in cui Gary spiega il processo con cui ha sviluppato la sua Classic Leather e per una volta regala la chiave di decrittazione elencandone tutte le reference e le citazioni.
Prima di arrivare al sodo, mi diverte come il post si apra sottolineando come ormai le collaborazioni nel mondo delle sneakers non abbiano più il valore culturale che rappresentavano un decennio prima, come avessero perso significato diventando routine per le aziende ma indicando anche il ruolo dei “collaboratori” nel creare progetti inutili. Il modo in cui questo parere sia diventato lo standard, quasi la linea politica di chi copra scarpe “da prima di te”, è il miglior termometro per giudicare come e quanto questa cosa delle sneakers sia diventata massiva.
Shoe collaborations are played out. They seemed amazing in 2003 but now they’re just brands going through the motions. They veered to the middle of the road. Most people have no connection — emotional or cultural — to the shoe that they’re reworking. There’s still some standouts, but the majority of collaborations should have stayed as unanswered emails.
Poche righe dopo si ripete, notando come ormai tutto abbia bisogno di essere importante o avere una storia e una dietrologia da scovare, come – aggiungo io – una volta che tutto è “speciale” il livello minimo per far apparire qualcosa come interessante si alza progressivamente finendo poi per sfociare nel ridicolo.
Concepts are the worst too. Who wants to apply a narrative to a shoe to justify its existence? People didn’t seem to do that back when we didn’t care about nicknames. Now it’s all about basing a colourway on some village ruins or an old clock. It’s not my kind of thing.
Oggi ancor più di dieci anni fa questo è un punto importante del modo in cui guardo alle scarpe da ginnastica e serve forse fare un distinguo importante per spiegare la cosa al meglio ed evitarmi di far passare per incoerente una persona che prima dice così e poi procede ad aggiungere migliaia di battute riguardo dettagli minuscoli e nascosti.
Tralasciando per un attimo il lato commerciale di certi progetti, l’obiettivo dovrebbe essere sempre fare qualcosa che si regga sulle sue gambe per conto suo, senza la necessità di lunghe premesse che finiscono solo per complicare le cose. Nell’esatto momento in cui si deve spiegare qualcosa si finisce per perdere l’interlocutore, soprattutto se non gli interessa nulla di quello che gli stai dicendo – il rischio è sempre di sembrare qualcuno che ha bisogno di giustificare le proprie scelte.
A questo punto spero sinceramente di non avervi perso a mia volta, giuro che si sta ancora parlando di scarpe.
Il discorso sulle reference è ben diverso. Quelle sono lì per aiutare durante il processo creativo e per essere un valore aggiunto per chi ha voglia o bisogno di approfondire. Nella mia testa la scarpa perfetta è sempre quella che può piacere al primo sguardo a chi non ha nemmeno idea di cos’abbia davanti e contemporaneamente abbia abbastanza livelli da tenere impegnati tutti gli scemi che invece si preoccupano dei perché e dei per come. Un po’ il meme dell’iceberg applicato alle scarpe sportive.
Per parlare delle sue Classic Leather Gary Warnett finisce per tirare dentro una serie di cose incredibili – inaspettate forse, ma mai a caso – che finiscono per lasciarti quella sensazione di pace da ultimo pezzo del puzzle ogni volta in cui capisci quei perché e quei per come di cui parlavo sopra.
Tutto parte con il legame tra la Classic Leather e l’Inghilterra, il suo ruolo da “roadmen shoe” e una classifica delle scarpe più presenti sulle scene del crimine che ha alimentato lunghi post su Crooked Tongues. Da lì la scalata lisergica è rapida perché si passa dai pattern delle tute da carcerato introdotte nel Regno a fine ‘800, a Polo Ralph Lauren, ai prison movie, alla riforma del sistema carcerario inglese e ai codici nascosti nei tatuaggi fatti nelle carceri minorili inglesi.
Potrei farvi la traduzione paragrafo per paragrafo ma sinceramente non mi sembra il caso. Se doveste averne voglia il post per fortuna è ancora lì al suo posto e merita di essere visto e letto esattamente com’era stato pensato.
Parlo di “fortuna” conscio sia una parola forte, ma per chi ha interesse per certe cose Gwarizm è una fonte incredibile che ha rischiato ad un certo punto di sparire nel nulla di internet ma è stata preservata dagli amici di Gary per la posterità.
Mi fa un po’ ridere ma ho paura che leggendo come Gary parla di certe cose potreste trovare certi passaggi che ancora adesso, dopo quindici anni, replico e applico a ciò di cui parlo io. Gary Warnett non lo sapeva, probabilmente perché non glie l’ho mai detto, ma era uno dei miei maestri. Parlargli era come giocare al telefono senza fili: si partiva con qualche lamentandosi del poco amore riscosso da qualche scarpa giustamente misconosciuta e si finiva a parlare di cinema, di wrestling, di heavy metal, di spacciatori nella East Coast degli anni ’80 o di equipaggiamenti militari nella guerra del Vietnam.
Oltre che a scrivere di certe cose, involontariamente e inconsapevolmente mi ha insegnato che nel privato dei fatti miei era giusto che non ci fosse nulla di “non interessante” e che se hai le capacità per fare i giusti collegamenti qualunque informazione torna utile prima o poi, spesso nel contesto in cui meno ti aspettavi che avresti citato “quella volta Dick Fosbury ha vinto un oro nel salto in alto con due scarpe diverse” o ben di peggio. Avere livelli di profondità che nessuno si aspetta a cui andare a pescare informazioni è un enorme punto di forza in un momento come quello attuale dove siamo esposti a talmente tanto che trovare qualcosa di vagamente diverso in tutto, in parte o per chiave di lettura è praticamente impossibile.
Quindi niente. Tutto questo per dire che avrei voluto mettere quelle Classic Leather ma non l’ho fatto, sono rimaste sepolte in qualche scatolone e spero di ricordarmene prima dell’anno prossimo per farmi venire ancora voglia di metterle e che c’è un motivo se anche qui finisco spesso per parlare di cose totalmente random, sono tutti pezzi che prima o poi andranno al loro posto.
Grey areas are a fun place to start creating product. What I did was hardly design (that’s something that only designers do) but it let me go off on crazed tangents and facilitate the shoe version of an entry on this page — a rambling blog for the feet, if you will.
Or — and this is preferable — you can ignore the below and appreciate it for looks alone. No narrative, no stories, no unnecessary explanations.