Return of the Mac
Dramma in due parti
Parte 1: Ah, it was about damn time. (L’attesa, l’estasi)
Chi ha la sventura di seguirmi anche su Instagram oltre a leggere i miei deliri in questa valle di lacrime sa già che nelle ultime settimane ho dovuto trovare un nuovo posto dove mettere più o meno tre quarti di tutte le mie scarpe, successivamente impacchettare tutto e traslocare senza farmi venire una crisi di nervi.
È in questo contesto che ho ritrovato la mia bellissima Mac Attack, acquistata a novembre e successivamente abbandonata per un paio di mesi in una pila di scarpe dimenticate. Non proprio la fine che mi aspettavo che avrebbe fatto, avendo aspettato quasi sei mesi di poter comprare il mio paio e più o meno quindici anni per una rétro.
La Mac Attack è una scarpa che adoro, un amore che mi porto dietro da quando a 14 anni raschiavo le mance per potermi comprare le scarpe mentre guardavo tanti dei miei mentori scavare su eBay per trovare qualche Nike Made in Japan incrostata di colla eppure bellissima. Per anni mi è sembrato inspiegabile come mai con decine, anche centinaia, di release l’anno Nike non avesse mai trovato l’occasione o la voglia per riportare nei negozi la Mac Attack. Per un attimo è sembrato fosse arrivato il momento buono quando Mac tornò a lavorare con Nike filmando assieme a Gino Iannucci lo splendido spot per il lancio della versione SB della Challenge Court, che faceva il verso alla splendida campagna “Rebel with a Cause” che l’aveva visto protagonista una ventina d’anni prima. E invece no, perché tanto per SB quanto per la sua linea Sportswear Nike decise di “accontentarsi” di un modello minore (eppure bellissimo, anche in questo caso), lasciando me e tanti altri a bocca asciutta.
Sembrò la volta buona anche quando iniziarono a circolare online le immagini dei primi sample di una presunta rétro in programma per il 2016, poi mai uscita. Poi sembrò la volta buona quando un paio d’anni dopo le Mac Attack iniziarono ad apparire ai piedi prima di Travis Scott, poi di LeBron James. Stavano forse per tornare? No, “più semplicemente” si trattava di uno dei miracoli di Ben Kirshner, che durante i suoi anni con lo Swoosh aveva tra le sue mansioni il sourcing delle figate da far indossare ad atleti e testimonial. In questo modo tante Nike SB e un paio di Mac Attack OG del 1984 sono finite addosso a Travis Scott (con il contributo chiave dello staff di RIF LA) e, ancor più sbalorditivo, un altro paio di 1984 DS in taglia US 15 ha lasciato l’incredibile collezione di Jon Migdal nel nord della California per prendere la via di Los Angeles e poi apparire nel tunnel dello Toyota Center di Houston ai piedi di LeBron. Qui servirebbe un altro post solo per parlare di come se non bastassero l’anno di produzione o la taglia a rendere assurda la storia della Mac Attack di LeBron, va aggiunto anche che si tratta di un prototipo con suola realizzata per i campi in erba al posto della classica herringbone, pare 1 di 3 realizzati (inspiegabilmente in quella taglia assurda).

A questo punto silenzio radio fino all’autunno 2022, quando iniziano a farsi insistenti i rumors riguardo un possibile ritorno nella prima metà del 2023. A questo punto sembra ufficiale: ci sono le foto, ci sono gli early pair, ci sono le anticipazioni sulle solite inutili collaborazioni a caso con colori a caso. Non resta che aspettare. Effettivamente la prima Mac Attack, quella grigia con la toebox nera, esce finalmente il 23 giugno ma, sorpresa, solo negli Stati Uniti. Per qualche settimana regna il mistero per il resto del mondo, finché Nike EU non comincia a regalarne qualcuna ad una serie di asset (tra cui il mio amico Bradley, che gentilmente mi ha mandato un po’ di foto dettagliate per alimentare il fomento), lasciando intendere che potesse trattarsi di una delle uscite in programma per il primo SNKRS Day globale, slittato per l’occasione da agosto a settembre. E invece, ancora una volta, niente. Nel frattempo escono tutti gli inutili colori dell’inutile collaborazione con Social Status e una serie di versioni più pulite che dovrebbero sembrare credibili come “finto vintage” ma sono soltanto superflue e destinate ai racks dei saldi.
La Nike Mac Attack “grey/black” fa il suo sbarco in Europa e nel resto del mondo il 27 novembre, con soli cinque mesi di ritardo che non hanno avuto nessun impatto evidente sulla mia psiche. La rétro in questione è davvero bella: box con le grafiche nostalgiche, pelle bella, colori giusti, shape affilato che blocca il sangue alle dita, il corredo completo. Dopo averle nominate ben due volte tra le mie personalissime scarpe più attese del 2023 per Scarpe.pod ho avuto giusto il tempo di comprarle, posare la scatola e infilarle nel mucchio di release di quest’anno che è apparso nella pregiata scenografia della nostra ultima puntata di dicembre, quella registrata da DLYNR per intenderci.
Avendola in mano ho avuto finalmente modo di considerare esaudite le mie richieste, il risultato finale è valso l’attesa. La Mac Attack (o semplicemente Attack, com’era in catalogo a metà anni ’80) resterà per sempre una scarpa iconica per tutti e avrà un posto speciale per me per mille motivi. Sono serviti quarant’anni per avere una riedizione, per fortuna l’hanno fatta come si deve altrimenti avrei guidato la sommossa.
Discorso a parte andrebbe fatto per la versione di Travis Scott, ma so di non essere la persona adatta a farlo. Per quanto mi riguarda è davvero la scarpa incomprensibile per eccellenza del 2023, di cui spero ricorderemo solo (la prima parte) della campagna di marketing e dimenticheremo tutto il resto, dalle modalità di release alla creatività azzerata dall’utilizzo della cw originale.

Parte 2: Era davvero necessaria? (Meditazione, coscienza, epilogo)
Elemento volutamente trascurato nel mio racconto iniziale è perché le Mac Attack fossero in quella pila di scarpe dimenticate, o anche soltanto perché ci fosse una pila di scarpe dimenticate.
Volutamente trascurato perché non è la prima volta che mi incastro in questo ragionamento e ho un po’ paura di avere le risposte e non volerle accettare. Per quanto sia innamorato della Mac Attack so bene che non è una scarpa che metto oggi. Non sono proprio nella posizione di poter spendere soldi (e occupare spazio) per scarpe che sono soltanto uno sfizio o mi servono per sopire i desideri del Marco adolescente. Comprarle per metterle una volta l’anno è inutile, comprarle per non metterle proprio lo è ancora di più, comprarle per poter dire di averle è davvero stupido e speravo fosse una fase che mi ero lasciato alle spalle.
Fare tutto questo subito dopo aver organizzato un trasloco con le proporzioni di una carovana di Mana Musa è ai limiti del ridicolo. E invece, eccomi qui.
C’è stato un momento in cui avevo davanti a me la scatola aperta della Mac Attack grigia e nera e il mio primo pensiero è stato di cercare tra i saldi anche la bianca, così da avere entrambe le colorway originali. Per fortuna non ho fatto stronzate, se la grigia la metterò una volta l’anno la bianca non sarebbe mai nemmeno uscita dalla carta.
Non posso però negare che quella della Mac Attack per me sia una situazione speciale e che messo nelle condizioni di poterlo fare l’avrei comprata sempre e comunque, indipendentemente dalla qualità, dalla fattura, dalla fedeltà all’originale e da quante volte avrei previsto di indossarla.

Facendo un passo indietro, invece, mi sono chiesto se la rétro uscita lo scorso anno fosse necessaria. Il primo istinto mi ha portato a dire “questa sì, altre no”, facendone una questione di merito e valore culturale, indipendentemente dai gusti personali.
L’argomento è chiaramente più complicato di così, vediamo se mettendo tutto per iscritto riesco a trovare una quadra alla questione.
Russ Bengtson, di cui vi ho già parlato un po’ di mesi fa, ha recentemente preso l’abitudine di pubblicare nelle sue stories alcuni screen di articoli di grandi testate più o meno vicine al mondo delle sneakers, tutti accomunati da un dettaglio: ogni vecchia scarpa è “leggendaria”, ogni rétro in arrivo è “attesissima” anche quando è abbastanza chiaro che quelle sneakers faranno polvere su tutti gli scaffali del mondo o che l’originale di cui si anticipa il ritorno era una scarpa in-line venduta sottoprezzo dalle catene di sporting goods di qualche zona rurale degli USA.
Per quanto mi diverta molto non posso fare totalmente mia questa “battaglia” di Russ Bengtson contro i titolisti poco ispirati di GQ, Complex o Sole Collector essendo dettata da due elementi di cui non dispongo: conoscenza sconfinata delle sneakers dentro e fuori dalle redazioni e, diciamo così, longevità – se negli anni ’80 c’eri e hai visto con i tuoi occhi quei modelli che oggi vengono chiamati “leggendari” a sproposito ci sta che possa dare un po’ fastidio, nonostante a volte sfoci in una sorta di integralismo che non sempre condivido.
Mi viene ben più facile derivarne un ragionamento abbastanza semplice, chiedendomi: tutto ciò che è vecchio è automaticamente bello? Quanto vale una patina di nostalgia più o meno reale? Ma soprattutto, qualcuno ci crede?
No, tutto ciò che è vecchio non è automaticamente bello, nonostante l’industria delle sneakers pare abbia più volte a utilizzare questo concetto per caricare di bei ricordi anche scarpe davvero inutili. Se l’archivio di un brand diventa un punto di forza più per occupare spazio che per raccontare la propria storia c’è qualche problema, ma a questo arriviamo tra poco. I ricordi personali non si discutono: se le sneakers a cui eravamo affezionati da bambini erano di quelle che finivano nei cestoni dei saldi o nei supermercati per noi saranno sempre le più belle di tutte, ma forse non è abbastanza per mettere in moto la macchina necessaria per provare a rifarle e poi a venderle. Poi è ovvio che tutti gli esperimenti di marketing sono validi (se poi ci si prende la responsabilità delle proprie azioni), ma è altrettanto vero che certe scarpe non sono fatte per essere riproposte a decenni di distanza.

Il discorso sulla nostalgia è un po’ diverso, se possibile più complicato. Da un certo punto di vista sembra che negli ultimi quindici anni l’industria intera si sia auto-convinta che creare “il prossimo classico” sia impossibile, continuando a fare affidamento sui modelli del passato. Ovviamente la questione non è certamente di orgoglio, ma ha importanti risvolti economici difficili da spiegare in poche parole. È ben più complicato di “una rétro costa meno di un modello nuovo”. Se il vero valore di un modello è nella sua storia ma decidi di non raccontarla o, peggio, dai per scontato che tutti debbano saperla si crea un cortocircuito difficile da risolvere, soprattutto se quella storia non esiste e va completamente fabbricata. Ogni tanto guardando le line-up di certi brand mi sembra di essere tornato ad avere a che fare con chi mi diceva “Ma come! Non conosci [inserisci nome di scarpa sconosciuta, forse inventata, mai vista da occhio nudo in era pre internet]? Beh ma allora è colpa tua”. Sotto questo punto di vista sono forse un po’ più coinvolto, dato che da tempo cerco di fare dello storytelling fatto bene uno dei pezzi del mio lavoro. Con successi alterni, va detto. Nemmeno io sono infallibile.
Il cortocircuito di qui sopra è ben più evidente con i modelli che realmente meritano una rétro, un esempio perfetto è la Mac Attack di cui ho parlato ampiamente. Chi la conosce la apprezza, non ha bisogno di particolari infiocchettamenti. Ma chi non ha idea di cosa sia penserà sia la scarpa di LeBron o Travis nel migliore dei casi, o una qualunque scarpa grigia che sembra una New Balance 550 (sentito il ragionamento con queste mie orecchie) nel peggiore. Senza contesto non si vende. La grigia, attesa quarant’anni e sognata da generazioni di collezionisti, ha fatto polvere finché non è arrivata l’orda dei delusi dalla release delle Travis Scott, pronti ad accontentarsi di qualcosa di simile. La bianca, la seconda colorway originale, è attualmente 50% off in quasi tutti i retailer che l’hanno ricevuta e lì rimane. Dando il giusto contesto all’uscita ne avresti venduta qualcuna in più? Per fortuna pianificare il marketing di Nike non è tra le mie responsabilità, ma vedendo il successo riscosso in altri casi mi viene da pensare di sì.
Per ultimo: qualcuno ci crede? (grande sospiro) Purtroppo sì. Questo però è sempre successo, ogni generazione ha la sua quota di nostalgici un po’ revisionisti pronti a spiegare come “era meglio prima”, con il dramma che questo famoso “prima” diventa progressivamente più ampio. Più che un problema questo è davvero un peccato, perché c’è tanta roba nuova interessante che meriterebbe più attenzione, ma condizioni generali e abitudine ci portano spesso a guardare indietro e non in avanti.
In generale penso che qualcosa di nuovo a cui prestare un po’ di attenzione aiuterebbe anche ad entusiasmarsi di più per i grandi ritorni. Ma, come ho già detto più volte, il discorso è ben più complesso di così.
Io per fortuna non faccio testo, non sono un buon metro per giudicare la situazione. Pur sapendo che dovrei tenermi le mani in tasca, continuerò imperterrito a comprarmi scarpe splendide ed emozionanti come la Mac Attack, pur sapendo che il declino nella mia fase “scarpe comode” è inesorabile e metterò sempre meno tanto altro. Continuerò ad arrabbiarmi se una bella storia che penso possa rivelarsi un valore aggiunto per chi non la conosce non viene raccontata e proverò, ogni tanto, a farlo io. Continuerò anche a innervosirmi prima e ridacchiare poi se vedo il passato utilizzato come panacea delle sneakers, il più delle volte a sproposito.


