Two stacks
Quella volta in cui io e Futura 2000 abbiamo parlato (anche) dei Clash
Un paio di settimane fa ho perso l’ennesimo paio di AirPods. C’è il 50% di possibilità che li abbia appoggiati mentre litigavo con la cassa automatica del supermercato che tentava di farmi pagare troppi sacchetti e il tipo dietro di me ha deciso di metterseli in tasca. C’è un altro 50% di possibilità che, invece, siano da qualche parte in casa, inaccessibili all’abbastanza inutile app “Dov’è” di Apple.
Quindi l’altro giorno ho deciso di smontare tutto per provare a ritrovarli e spostando una pila di libri mi è capitata in mano la mia copia firmata di “Full Frame” di Futura 2000. Purtroppo non ho trovato gli (o le) AirPods, ma mi sono ricordato di avere ancora in sospeso dallo scorso autunno la storia con Futura. Quale miglior momento di questo sonnecchiante pomeriggio agostano privo di stimoli (e AirPods) per parlarne?
Parliamo dello scorso ottobre. Subito dopo Sneakerness noto un po’ di movimenti strani su Instagram, con un po’ di amici che si mettono a cercare con urgenza alcune uscite più o meno vecchie di Nike, in particolare SB. Chiacchierando con uno di questi, che per comodità e anonimato chiameremo “l’amico G”, vengo a sapere che per una serie di vie traverse e scambi di favore si è scoperto che Futura 2000 è in arrivo a Milano per far visita al Maestro e amico (suo) Ernesto Colnago. L’elemento chiave è che c’è la possibilità di presentarsi a sorpresa a Cambiago, ovviamente senza alcuna garanzia di poter entrare o incontrare ospiti e padroni di casa, ma con la garanzia quantomeno di non essere cacciati a pedate nel culo.
L’occasione è ghiotta, non soltanto perché Futura è uno dei miei idoli ma anche perché ho sempre rimandato l’occasione per visitare il Museo Collezione Colnago. Quindi nel migliore dei casi avrei preso due piccioni con una fava, nel peggiore avrei spuntato la visita dall’elenco delle cose da fare.
Arrivato in Brianza mi accorgo che l’enorme NCC nero con cui ho condiviso un pezzo di strada era diretto come me alla Colnago. Incontro l’amico G e per non essere invadenti aspettiamo a distanza che Futura e il suo entourage di accompagnatori scendano dal van e si incontrino con lo staff di Colnago. Dopo una ventina di minuti prendiamo contatti con chi ci aveva esteso l’invito ed entriamo nel cortile del piccolo capannone, che a quanto ho capito è stata una delle sedi originali della fabbrica Colnago.




Ci chiedono di attendere fuori mentre Colnago e il nipote portano Futura e amici in giro per l’esposizione. Nessuno ha avvisato formalmente della nostra presenza e il nostro gancio vorrebbe evitare di indispettire i partecipanti all’incontro in programma.
Pochi minuti dopo uno degli ingegneri di Colnago attacca bottone, spieghiamo la situazione e si offre di far fare un giro anche a noi, in senso contrario rispetto a quello prestabilito così da non incrociare i padroni di casa. Si parte con alcune delle ultime biciclette di quel mostro di Pogačar e poi indietro fino ai telai ancora incrostati di fango di Ballerini alla Roubaix, gli esperimenti Concept in carbonio, le biciclette di Saronni e Merckx e via fino alle origini.
A metà del giro il nostro accompagnatore nota una porta aperta che da su un misto tra un piccolo cortile interno e una sala caldaie. Ci affacciamo e notiamo che Futura ha visto alcuni disegni che Stash aveva realizzato per Colnago all’inaugurazione dello spazio espositivo, quindi pretende che gli siano portate delle bombolette per poter lasciare anche lui un regalo per il Maestro. Così, ignorando totalmente che ci fossimo accodati ai suoi accompagnatori, inizia a tracciare atomi, pointmen e crepe dedicati al Signor Colnago.
Tra attrezzature da saldatura, ricordi del vecchio stabilimento, foto con Schumacher, Enzo Ferrari e vari presidenti della Repubblica terminiamo il nostro tour improvvisato, ringraziamo il nostro cicerone e aspettiamo. Dietro un angolo, davanti a un Mario Schifano a tema ciclistico con dedica c’è Ernesto Colnago, novantadue anni ma pur sempre fresco come un cetriolo. Vengono fatte le presentazioni e l’emozione è già grande, gli spiegano la situazione e lui inizia teneramente a parlarci di lui, di Futura e del loro rapporto come se ne fossimo totalmente all’oscuro.
Mentre aspettiamo un momento buono per presentarci evitando di disturbare torniamo in cortile e lì, seduto sul marciapiede, c’è Futura, mentre si fuma una sigaretta dietro l’altra spolverando ogni tanto la gamba della sua tuta blu da operaio. Ci nota e con un cenno ci chiede di avvicinarci, pensando all’inizio fossimo altri visitatori del Museo. Appena realizza che siamo lì per lui si illumina, ci chiede di sederci con lui e racconta che anche dopo tanti anni finisce per stupirsi un po’ ingenuamente che anche dall’altra parte del mondo ci sia qualcuno che conosce lui e il suo lavoro.
Iniziamo a parlare di tutto. Graffiti, biciclette da pista, di messenger newyorkesi, della sua amicizia con Giorgio De Mitri e dei poster disegnati per i Clash. Probabilmente si rende conto sia un invasato e ad ogni dettaglio oscuro messo sul piatto del discorso da me, un fan un po’ spudorato, finisce per mettersi a ridere.
A quel punto ci invita a seguirlo all’interno, ci offre i pasticcini che “Mr. Colnago”, il suo maestro, ha fatto arrivare per lui. Il tutto mentre periodicamente si alza a curiosare, firma i muri della stanza in cui ci troviamo e mi chiede se davvero ha avuto un tale impatto sul mio modo di vedere le cose o stia solo cercando di corteggiarlo. Mentre siamo seduti insieme si stupisce – tra tutte le cose che potevo avere con me – abbia portato le Nike Zoom FC che realizzò per l’evento a Parigi della Fondazione Lance Armstrong. Si offre di firmarmele entrambe nonostante abbia smesso di farlo con certe cose, riferendosi immagino al lavoro fatto con Livestrong prima dell’enorme scandalo che ha investito Armstrong.
La chiacchierata prosegue sfogliando un libretto realizzato con Stash, Lee Quinones, James Lavelle e Marc Fraser che probabilmente non vedeva da almeno vent’anni e gli racconto comprai a Londra alla mostra dedicata da Lazarides a Psyence Fiction.
Ammetto che sarei rimasto lì per ore ad ascoltare aneddoti e dettagli, ma Futura era lì per un altro motivo e attorno a me alcuni membri dello staff di Colnago si stanno seccando.
Faccio per ringraziare e andarmene, ben felice di come sia andata la giornata, ma lui nota che nella borsa in cui sto riponendo le scarpe c’è anche Full Frame, il libro che aveva pubblicato con Drago. Lo sfila, lo sfoglia, si offre di firmarmelo. Mentre racconta a Ernesto Colnago questo o quel lavoro di cui abbiamo parlato in quella decina di minuti, in cui siamo passati dalle giacche di Project Dragon ai pannelli MTA fotografati da Martha Cooper e Jamel Shabazz, tagga a penna e pennarello le prime pagine del libro “To Marco, from Lenny”, insistendo lo chiami per nome al posto di un generico e reverente “sir”, per poi tracciare un enorme pointman sulla terza di copertina.
A quel punto tocca proprio andarsene, bottino pieno.
A questo punto ci starebbe proprio bene una di quelle noiose tirate su come dicano sempre di non incontrare i propri eroi ma a me è andata bene e tutti dovreste invidiarmi. In realtà, la situazione è un po’ diversa.
Trovarmi davanti Futura, poterci parlare reprimendo con forza la voglia di fare il fanboy adorante, è stato molto diverso da come me l’aspettavo. Futura è una delle (poche) figure con cui identifico quel momento di pace interiore in cui tutti i pezzi del puzzle sono andati al loro posto, in cui ho capito che tutte quelle cose sparse da cui mi sentivo attratto erano in realtà collegate da storie, luoghi, persone.
Graffiti, musica, grafica, sport, New York, Tokyo, Los Angeles, Beastie Boys, Clash Megadeth, sneakers, biciclette da pista, borse per dischi e sacche da fattorino. Ad un certo punto tutto ha avuto senso e lo spaesamento è diventato ammirazione e poi emulazione.
Ad emozionarmi è stato capire che uno come Futura non si è trovato a fare tutte quelle cose perché aveva la mappa o una “bigger picture” chiara fin dall’inizio. Era mosso dall’istinto, dalla curiosità e dalla voglia di sperimentare. Il terreno fertile e disperato che era la New York City degli anni ’70 ha fatto il resto.
E quindi viva Futura, viva i matti e, di conseguenza, viva noi.
Peccato solo non aver fatto una foto insieme, toccherà incrociare le dita per una prossima occasione. In ogni caso sarò per sempre grato all’amico G per avermi tirato in mezzo in questa di occasione, pur sempre più unica che rara.
Con questo racconto mi avanza soltanto un’altra storia da affrontare, se non trovo niente di meglio di cui lamentarmi magari evado anche questa pratica nel prossimo post.




