Ritorno al Futuro
Quando azzecco le previsioni mi sento bene, tipo un Divino Otelma vestito peggio
Breve premessa che non c’entra nulla con il resto del post: la scorsa settimana è mancato Markus Thaler, leggendario designer e ingegnere che nei quasi cinquant’anni trascorsi lavorando con adidas ha legato il suo nome ad alcuni dei progetti più importanti nella storia delle sneakers, dagli inizi insieme ad Adi Dassler fino alla rete di Dellinger, Torsion e ZX. Di lui e del suo lavoro ho parlato qui su NNT in “Dalla A alla Z(X)” e in un’edizione di The Sneakers Tribune stampata qualche anno fa in occasione dell’uscita di ZX8000 “Germany” e ZX9000 “Citrus”, che invece potete trovare QUI scavando nel Google Drive in cui ho raccolto tutti i numeri realizzati. Un tributo piccolo e pure in ritardo, ma necessario – se dovesse capitarvi nelle prossime settimane di trovare materiale online o di sentire Thaler citato in qualche pod prendetevi un attimo e provate a capire l’importanza che ha avuto nell’evoluzione delle calzature sportive moderne.
Tornando a noi. In questi ultimi dieci giorni nel mondo delle sneakers sono successe due cose molto interessanti, soltanto apparentemente scollegate:
Cornelius Shmitt, CEO di Zellerfeld, ha annunciato ufficialmente il passaggio da beta ad attiva di una piattaforma che lui ha definito “YouTube/App Store delle sneakers”, sostanzialmente un portale che mette il laboratorio di stampa di Zellerfeld a disposizione di creator e designer di tutto il mondo che potranno così offrire ai clienti la realizzazione made to order delle loro sneakers. Detto così sembra complicato, ma il paragone con l’App Store è molto azzeccato: i designer si occupano dello sviluppo e Zellerfeld di produzione ed evasione degli ordini, alla fine si tolgono i costi e si dividono i ricavi. Questo permette a designer emergenti di abbattere i costi necessari per offrire il proprio prodotto sul mercato, ridurre la produzione inutile di scarpe nate per restare in magazzino e potrebbe dare una spinta decisiva nell’abituare anche il grande pubblico ai nuovi metodi di produzione.
La seconda cosa, decisamente meno interessante se considerata da certi punti di vista, è la morte dell’app Adapt di Nike, quella che consentiva di comandare dal telefono i modelli provvisti di sistema di self-lacing E.A.R.L. . Questo cosa significa? Banalmente dal 6 agosto l’app non sarà più disponibile negli app store Apple e Android e molto probabilmente smetterà di essere aggiornata, rendendola presto inutilizzabile sui nuovi sistemi operativi. Quindi chi ha comprato le scarpe robotiche dovrà rassegnarsi a tornare a usare le mani, rendendo le scarpe auto-allaccianti a metà.
I due avvenimenti sopra citati diventano più facili da collegare se considerati in un più ampio ragionamento sul futuro delle sneakers, in cui finalmente le cose inutili sono esposte come tali e le vere innovazioni sono altre. Questa è la base di un articolo che ho scritto l’anno scorso per Outpump Magazine, che ho già ampiamente discusso su queste pagine lo scorso dicembre tirando in mezzo anche una polemica sulle omologazioni in ambito sportivo e una dedica speciale alla Tyrrell con sei ruote.
Quell’articolo è intitolato “Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro delle sneakers?” e contiene riferimenti a entrambi i temi elencati sopra. Spero di non deludere nessuno se dico che uno dei principali scopi di questo blog è pavoneggiarmi, quindi per dimostrare a tutti che non solo ho ragione ma anche (per una volta) con largo anticipo, lascio il testo dell’articolo qui sotto sperando che gli avvocati di Outpump non vengano a prendermi la notte. Oltre ai miei sproloqui ci sono anche gli interventi di Alberto Vinciguerra, Michael Cutini, Agata Panucci e Finn Rush-Taylor che rendono il tutto molto più utile.
Prima di lasciarvi all’articolo, aggiungo un altro piccolo appunto riguardo la questione E.A.R.L. che, come leggerete, mi vede più direttamente coinvolto come commentatore nell’articolo (un modo bello per dire che il discorso su Zellerfeld l’ha fatto FRT e io me ne sto prendendo i meriti).
Anni fa, purtroppo non ricordo nemmeno dove, anticipando il discorso sulle gimmick inutili e parlando di E.A.R.L. dissi che il vero futuro della tecnologia non era in ambito lifestyle o sportivo (visti i limiti legati a circolazione, cambiamento di volume del piede, peso del meccanismo e così via) ma come componente per la linea Flyease di calzature destinate a persone con disabilità motorie. Le potenzialità di una scarpa auto-allacciante comandata da un app programmabile per il controllo oculare o vocale erano potenzialmente infinite, ma mi dissi anche un po’ disilluso essendo un mercato ridotto, in cui erano necessari grandi investimenti a fondo perduto. Dopo cinque anni è finita come ci aspettavamo in tanti, continueremo a dover usare i lacci per stringere le scarpe.
Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro delle sneakers?
Outpump Magazine 3
Qualche tempo fa ho superato i quindici anni di sneakers, intesi come tempo trascorso a interessarmene in maniera più o meno ossessiva prima per passione, poi per lavoro. Oltre ad avermi fatto fortemente dubitare del modo in cui ho investito il mio tempo questo traguardo mi ha portato anche a guardarmi un po’ indietro per capire come fossero cambiate le sneakers in questo lungo periodo e anche come fosse cambiato il mio rapporto con loro.
Una certa nostalgia di base e una formazione iniziale sotto dei grandi saggi delle sneakers un po’ più grandi di me mi ha fatto crescere con il culto degli anni ’90, alimentando così tanto l’iconicità di certi modelli quanto un’ossessione per ciò che è strano e futuristico, ben rappresentata da un decennio che è tra i più importanti per l’evoluzione tecnologica nell’ambito delle calzature sportive. Avere un occhio attento per le cose nuove mi ha aiutato a combattere la noia e mi ha fornito continuamente nuovi spunti, stimoli e cose da imparare, diventando una sorta di motore per la mia passione e per il mio collezionismo.
Proprio rimuginando su questo aspetto di come ho visto le sneakers mutare nel corso degli anni mi sono ritrovato a riflettere sul progressivo rallentamento del processo di innovazione tecnologica, sempre più attento alla forma e meno alla funzione. Detto in maniera semplice negli ultimi quindici anni ho sentito parlare decine di volte di “next big thing”, di qualcosa che avrebbe rivoluzionato per sempre non soltanto l’industria ma anche il modo in cui utilizziamo le scarpe sportive, per poi puntualmente rivelarsi una gimmick con poco futuro, l’espediente pubblicitario di qualche azienda bisognosa d’attenzioni o, peggio, qualcosa di puramente inutile se non addirittura poco funzionale.
Al termine di questo lunghissimo percorso d’analisi abbastanza autoreferenziale mi è finalmente apparso chiaro “quel dubbio”, la domanda che stavo cercando e su cui troppe volte mi sarei arenato in questi mesi: cosa devo aspettarmi dal futuro delle sneakers? Non parlo di trend da anticipare con la sfera di cristallo ma di come mi immagino i prossimi anni e cosa mi piacerebbe vedere, del prossimo step che scuoterà le fondamenta della Sneaker Culture o, addirittura, il rapporto tra il grande pubblico e le scarpe da ginnastica.
Ben inteso, quando si parla di “sneakers” l’argomento sono le scarpe che ci mettiamo tutti i giorni. La precisazione non è frutto di pignoleria o pigrizia, dato che passerei volentieri ore a parlare di ciò che oggi è il nuovo standard tecnologico in ambito calzaturiero, ma per delineare meglio i confini della domanda la precisazione è necessaria. Per fortuna in ambito performance l’evoluzione non si è mai fermata, raggiungendo livelli di sofisticatezza che oggi rende quel tipo di scarpe stupendi capolavori d’ingegneria impossibili da indossare nella vita di tutti i giorni.
L’era delle molle, le bolle, le scarpe gonfiabili o auto-allaccianti è ormai davvero materiale per i nostalgici e guardando anche a come il grande pubblico ha reagito alle release degli ultimi anni sembra che il periodo delle cose “belle ma inutili” sia davvero giunto al termine. Ho un po’ paura che il principale motivo sia la noia, ma mi piace pensare che il tutto sia in realtà conseguenza di un accresciuto senso critico e di maggiore consapevolezza riguardo i temi ambientali e le conseguenze dei processi produttivi, che possa portarci a distinguere tra gimmick appositamente sviluppate per attirare uno sguardo in più verso qualche vetrina e ciò che può realmente portare a un’innovazione nel mondo delle sneakers.
Sono convinto che la prossima grande sneaker revolution riguarderà non tanto ciò che vedremo sugli scaffali dei negozi, quanto com’è stato fatto: nuovi metodi e nuovi strumenti avranno un impatto determinante su tutta la filiera, dal modo in cui le sneakers vengono ideate e sviluppate fino ai metodi di produzione e ai materiali utilizzati con un effetto forse poco visibile ma enorme su ciò che ci mettiamo ai piedi. Nell’immediato futuro il compito delle grandi aziende sarà quello di trovare modi alternativi per produrre le loro calzature che siano sostenibili non soltanto dal punto di vista ecologico ma anche da quello economico, così che possano essere applicati in ogni ambito senza rimanere un utopico stunt pubblicitario per distogliere l’attenzione dai problemi evidenti dell’industria. Tutto questo si applica tanto ai nuovi modelli quanto ai vecchi: in un mercato dominato da una nostalgia un po’ vuota, in cui la grande maggioranza dei design che troviamo online e nei negozi proviene dagli archivi, diventa fondamentale trovare modi nuovi per fare cose vecchie.
Quest’ultimo punto aprirebbe un’altra questione, che riguarda una futura rivoluzione culturale, più che tecnologica. Sarebbe importante che i brand iniziassero a dare maggiore importanza ai nuovi design, scommettendo su idee fresche al posto di fare continuo affidamento su archivi che hanno già offerto tutto ciò che avevano da dare. Puntare maggiori risorse su prodotti innovativi contribuirebbe prima di tutto a “educare” il pubblico ad essere aperto alle novità, rendendo design sviluppati e realizzati in maniera maggiormente attenta e sostenibili più rilevanti commercialmente, innescando così un meccanismo virtuoso che potrebbe rendere economicamente sostenibile la conversione a nuovi sistemi produttivi. Oltre a tutto ciò, meno “rétro” significherebbe anche un maggiore coinvolgimento delle nuove generazioni di designer, che finalmente potrebbero mettersi alla prova così come hanno potuto fare le leggende degli anni ’80 e ’90 prima di loro.
La principale difficoltà quando si discute di questi temi sta nel distinguere le idee valide in teoria da quelle realizzabili. Per questo motivo ho voluto coinvolgere anche chi è coinvolto direttamente nel discorso, persone che lavorano nell’industria delle sneakers sviluppando nuove idee che possano avere un impatto reale sul contesto che li circonda. Il loro punto di vista è prezioso per capire al meglio quale sia la situazione attuale, quali siano gli elementi d’innovazione che possano lasciare un segno nell’immediato e quali le missioni a lungo termine.
Agata Panucci - footwear designer e Michael Cutini - footwear designer & founder @ RAL7000 Studio
In questo momento l’ambito del settore calzaturiero in cui si fa maggiore ricerca è quello produttivo e, ovviamente, la principale innovazione a cui abbiamo assistito negli ultimi anni è la stampa 3D: la velocità con cui la tecnologia si sta sviluppando è impressionante, basta vedere a che punto siamo già arrivati per capire che si tratta di qualcosa di serio, che nei prossimi anni avrà un impatto reale sull’industria calzaturiera per come la conosciamo.
Oltre al punto di vista estetico estetico, ciò che è possibile fare già oggi con la stampa 3D va a toccare ogni aspetto del processo produttivo di una scarpa: è un approccio che nell’industria calzaturiera non c’è mai stato. Il lavoro fatto da ingegneri e designer come Cornelius Shmitt di Zellerfeld ha dimostrato come anche con le calzature sia possibile fare un discorso di economia circolare, andando a seguire tutto il ciclo di vita del prodotto: la scarpa, essendo un one-piece realizzato con un singolo materiale può essere riciclata al 100% diventando nuovamente materiale grezzo per un nuovo ciclo di stampa, un meccanismo che può potenzialmente essere ripetuto all’infinito. Ovviamente una produzione di questo tipo ha un impatto anche sul ruolo dei vari lavoratori della filiera, un “altro lato della medaglia” che andrebbe ovviamente affrontato.
Dal punto di vista della sostenibilità, invece, c’è ancora molto da fare. Bisognerebbe abituarsi ad avere uno sguardo più ampio sull’intera filiera senza concentrarsi su come il prodotto finale viene comunicato, per evitare che possa essere utilizzato per distrarre da situazioni critiche. Sarebbe importante vedere investimenti importanti in questo senso, che possano mirare a una circolarità reale dei prodotti. L’obiettivo delle aziende dev’essere quello di creare prodotti sostenibili di alta qualità e durata così da poter allungare la vita dei prodotti ecologici, ridurre gli sprechi e convincere anche i più resistenti ad una transizione green.
Alberto Vinciguerra – footwear designer, designer @ Vibram Connection Lab
Quello che penso possa essere il futuro delle sneakers si divide in due mondi.
Il primo è sicuramente quello legato alla stampa 3D. Ho avuto modo di toccare e anche utilizzare prodotti come la Heron01 di Heron Preston e ti posso confermare che il livello qualitativo è molto alto. Ovviamente si parla di lifestyle, per ora i materiali utilizzabili non possono garantire le prestazioni di scarpe con struttura più complessa, però il modo in cui vengono stampate oggi le scarpe è soltanto l’inizio: il futuro non è la stampa a filamento, ma quella a polvere o quella attraverso la sintetizzazione delle resine. Man mano che si evolveranno tutti questi metodi avranno un impatto incredibile sul ciclo produttivo delle sneakers e sotto molti di punti di vista lo stanno già avendo. Si parlerà di una vera “filiera 2.0” che rimpiazzerà totalmente la costruzione tradizionale rimuovendo tutti i passaggi e sostituendoli con interi capannoni di stampanti 3D che al bisogno andranno a produrre la scarpa desiderata.
Ciò che mi preme sottolineare è che non si tratterà soltanto di un’evoluzione dal punto di vista estetico, ma anche prestazionale: ci sono già studi e sperimentazioni in atto su nuovi materiali e sistemi di produzione in ambiti come running e trail, ovvero sport in cui le scarpe sottoposte a grandi sollecitazioni. Sono convinto che anche nel settore performance arriverà il momento in cui il 3D potrà aggredire il mercato della scarpa “montata”.
Per quanto non sopporti il termine, che ormai ritengo venga usato sempre più spesso impunemente e fuori contesto, il secondo aspetto in cui mi auguro di vedere grandi cose in arrivo è quello della “rivoluzione sostenibile”, in cui io per primo come designer sto sperimentando molto. Parlo di un nuovo modo di disegnare e costruire le scarpe evitando l’uso di collanti e solventi, rendere disponibili parti sostitutive per le sneakers facilitandone e favorendone la cura per allungare il ciclo di vita del prodotto, dare la possibilità all’utente finale di interagire direttamente con i processi di personalizzazione e manutenzione delle sue scarpe. Ritengo fondamentale un nuovo approccio nei confronti della fine della vita del prodotto realizzato, rendendo possibile nella totalità il disassemblaggio e lo smaltimento delle varie parti, così come la sostituzione di un singolo elemento nelle situazioni in cui il danno non comprometta la solidità della scarpa.
Noi come Vibram offriamo e promuoviamo servizi di riparazione, sostituendo per esempio le suole usurate delle scarpe dei nostri clienti, ma le potenzialità sono pressoché infinite: immaginate di poter acquistare online veri e propri pezzi di ricambio per le vostre sneakers, o soltanto i file per poi stamparli in 3D in autonomia, o addirittura poter disegnare parti sostitutive seguendo delle linee guida fornite dai produttori e dai design team delle aziende. O anche sostituire un’intera tomaia utilizzando materiale disponibile perché derivato da abbigliamento che non si usa più includendo l’upcycling nei processi di manutenzione delle scarpe…
Finn Rush-Taylor - footwear designer, director – Finn Rush-Taylor Studio
Il futuro delle sneakers è legato al modo in cui vengono realizzate e i primi segnali li stiamo vedendo già ora. Ci sono diverse aziende che stanno sperimentando in questo senso, la più conosciuta è Zellerfeld ma ce ne sono sicuramente altre, e propongono nuovi processi di produzione che consentono ai designer di sviluppare le loro creazioni riducendo drasticamente l’investimento iniziale necessario – prima, ma ancora oggi, per avviare un brand da zero e dare il via alla produzione di una calzatura serviva un investimento di almeno cinquecentomila euro per trovare una fabbrica, realizzare le forme, scegliere e acquistare i materiali, realizzare i prototipi e così via. Adesso basta avere accesso ad un computer che possa supportare Blender per realizzare un modello e inviare specifiche e parametri della propria creazione all’azienda che si occupa della produzione, dividendo poi i profitti. Questo sistema apre le porte ad enormi percorsi di sperimentazione, dando la possibilità ai designer di produrre scarpe anche se solo un centinaio di persone sono interessate senza un rischio finanziario. Questo si traduce in un incentivo nel creare nuovo prodotto, qualcosa di mai visto prima.
Il rischio finanziario è il principale motivo per cui le aziende, grandi o piccole che siano, continuano a produrre e vendere le stesse cose: per loro è un investimento sicuro. Normalmente le persone faticano a comprare qualcosa di nuovo, a cui non sono abituate, e le aziende vogliono evitare di avere stock fermo o prendersi rischi, quindi continuare a pescare dall’archivio risolve la maggior parte di questi problemi.